Don Paolo Serra Zanetti: "Anarchico e dalla carità dissennata"

(da I MARTEDI DI S.DOMENICO)

Giancarla Matteuzzi, Carlo Lesi, Elena Buffi, Valerio Neri

Il 17 Marzo 2004 è morto, all’Ospedale Maggiore, don Paolo Serra Zanetti, un uomo singolare per intelligenza e per vita evangelica.

Era nato a Bologna il 16 Luglio 1932. Dopo gli studi classici si era laureato in Lettere nel 1953.

Il 30 Novembre 1963 era stato ordinato sacerdote da mons. Luigi Bettazzi, allora vescovo ausiliare del cardinale Lercaro, assente in quei giorni da Bologna per gli impegni del concilio.

Mite e, al tempo stesso, coraggioso e fermo nei suoi convincimenti e nel suo impegno di testimonianza, pronto a difendere chi dalla vita o dagli uomini era stato trattato ingiustamente. Chi ha avuto la fortuna di essergli amico – e di amici don Paolo ne aveva tanti, di tutti gli ambienti, di tutte le estrazioni, credenti e non credenti, lontani ed irregolari, persone che la chiesa ufficiale avrebbe stentato ad avvicinare – lo ha avuto vicino nei passaggi dolorosi e lieti della sua esistenza, sempre attento alle scadenze importanti: per tutti e sempre la sua presenza premurosa è stata di consolazione e di sostegno.

I marginali, i senza fissa dimora, hanno sempre trovato in lui accoglienza, affetto ed aiuto concreto. Raramente si poteva incontrare per strada don Paolo senza la compagnia di qualcuno di questi suoi privilegiati amici. “Anarchico e dalla carità dissennata”, è stato detto in questi giorni, finalmente con stima, ammirazione e rimpianto per una persona che era stata capace di uscire dagli schemi per vivere la libertà del Vangelo.

Prete del concilio, don Paolo ne aveva assimilato lo spirito più genuino e continuava a viverlo, oggi talora in modo anacronistico e andando controcorrente, con semplicità e senza arroganza, sempre in ricerca, rattristato, ma non fermato, quando nella chiesa, proprio dai suoi confratelli, talora non veniva capito.

Profondamente innamorato della Scrittura sapeva indagarne la ricchezza di significati con rigore di filolologo guidato ed illuminato da un intenso coinvolgimento spirituale. Per tanti di noi, ragazzi della FUCI della fine degli anni ’60, di cui don Paolo fu per un certo periodo assistente, i primi contatti della Bibbia sono legati a lui che, vicino agli ambienti dossettiani, ma con originalità tutta sua, inserito nelle contraddizioni e nei dubbi della storia, seppe vivere con pienezza quei primi anni del post-concilio di cui la riscoperta della Scrittura rappresentava il cuore.

Da una ventina d’anni aveva stretto particolare amicizia con la comunità evangelica metodista di Bologna e seguiva regolarmente gli incontri del gruppo biblico interconfessionale – un gruppo, formato da cattolici e protestanti che si riunisce presso la chiesa metodista – offrendo sempre contributi stimolanti e di elevato livello. L’apertura ecumenica era per lui ben più che un interesse, improntava tutto il suo modo di concepire e di vivere la scelta cristiana. Don Paolo non poteva valutare priorità pastorali o riflettere su scelte e realtà della nostra chiesa senza considerare il punto di vista di chi apparteneva ad altre tradizioni cristiane.

Le messe, che celebrava regolarmente nella sua parrocchia dei ss. Giuseppe e Ignazio in via Castiglione, erano frequentate dalle persone più diverse. Chi vi partecipava il sabato sera, poteva incontrarvi, non di rado, qualche amico protestante attratto dalla profondità e dalla finezza delle sue omelie.

La sua riflessione sulla Scrittura, condotta spesso con una Bibbia di piccole dimensioni fra le mani, quasi a volere manifestare ai presenti in modo chiaro ma discreto la fonte delle sue considerazioni, aveva nella fede nel Signore risorto il suo fondamento essenziale. Era tanto saldo in don Paolo questo convincimento da farlo guardare oltre “lo schema di questo mondo, con occhi di speranza, in un un mondo di pace e di giustizia fondata in Cristo. Paragonava spesso questa speranza ad una fiammella tenue ma tenace che doveva sempre restare accesa, alimentata dalla fede di ciascuno. La sua fede si metteva continuamente alla prova nel confronto con il mondo, con la necessità di farsi testimonianza negli ambienti e nelle situazioni più diverse. Don Paolo era solito ricordare che il fondamento di tutto il nostro essere cristiani nasce dall’esperienza di una tomba vuota scoperta dalle donne di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato al levare del sole. Amava particolarmente il racconto della resurrezione nel vangelo di Marco, che in molti manoscritti si conclude con la fuga ed il timore delle donne alle quali un angelo vestito di una tunica bianca ha fatto la rivelazione della resurrezione, senza le apparizioni del Risorto, a dimostrazione che la fede è essenzialmente mistero e grazia che non può essere sostenuta da evidenze di nessun tipo.

L’insegnamento universitario e l’università come luogo fisico erano una delle attività e dei luoghi ai quali era più affezionato e d’altra parte la ricerca e l’insegnamento della letteratura neotestamentaria e di quella patristica era in diretta continuità della sua passione per la Parola, l’alimentava e ne era alimentata. Qui, come in tutte le attività che praticava ed i luoghi che frequentava, spendeva senza risparmio la sua intelligenza, la sua cultura ed il suo tempo, a vantaggio dei tanti studenti che frequentavano i suoi corsi e decidevano di laurearsi con lui, con un affetto ed una premura che raramente è dato vedere nelle aule e negli studi universitari. In qualche momento aveva affacciato il proposito di abbandonare anzitempo l’insegnamento, ma poi era restato fino all’ultimo (quest’anno avrebbe concluso la sua carriera). Gli era stato offerto di continuare sotto forma di contratto l’attività di insegnamento anche dopo il pensionamento e ne era stato contento e come sollevato.

Il ricordo però della personalità di don Paolo sarebbe monco se non venisse ricordata la sua curiosità ed il suo interesse per tanti aspetti della vita comune, in cui si manifestava certo la sua volontà di condivisione e di comunicazione con coloro che gli erano amici, ma anche il suo amore per la vita anche negli aspetti apparentemente banali della quotidianità. Poteva appassionarsi a un vecchio film o ad una partita di calcio, era capace di cogliere e gustare l’aspetto umoristico delle situazioni, sapeva ascoltare senza sufficienza anche il racconto di esperienze e problemi comuni.

La sua morte ci ha colti di sorpresa: una settimana appena di ospedale, ogni giorno notizie peggiori. Tanta gente, durante il suo breve ricovero, cercava di andarlo a trovare, forse troppa, al punto che sulla porta della camera era stato posto un cartello che impediva le visite.

Ai suoi funerali ha partecipato tanta gente. I colleghi universitari hanno riempito la cappella dei Bulgari ed il cortile dell’Archiginnasio, e i suoi tanti amici la cattedrale. Il Vangelo che è stato letto durante la messa di congedo, Matteo 25, era stato scelto in maniera del tutto congrua. L’arcivescovo nell’omelia ha commentato: “questa pagina evangelica risuona oggi nel nostro cuore con una speciale forza persuasiva, perché la vediamo interpretata ed attuata nella vita del nostro fratello, il sacerdote don Paolo Serra Zanetti. La stampa laica di quei giorni gli ha dedicato ampio spazio e titoli significativi: “Un uomo di raffinata cultura che regalava sé stesso a tutti”, “Era il santo dei poveri”….

Tutti noi che lo abbiamo conosciuto lo rimpiangiamo ed ora, ancor più che nei giorni immediatamente seguenti alla sua morte, ne sentiamo acerbamente la mancanza.