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Nel trigesimo della morte della mamma

Omelia di Don Paolo Serra Zanetti

23 Dicembre 1989

Ricordiamo questa sera, a un mese di distanza, la morte della Mamma, all’interno della liturgia della quarta domenica d’Avvento; è giusto che partiamo dalla parola che abbiamo ascoltato.

«…il Signore stesso vi darà un segno» (Is.7,14) «…Emmanuele, Dio-con-noi» (Mt.1,23, cfr. Is.7,14) «…perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del Profeta..» (Mt.1,22).

La volontà di Dio, il suo progetto antico, indicato dalla parola profetica – una parola carica d’attesa, che gli eventi interpreteranno manifestando umanamente la divina inesauribile originalità.

«Dio con noi» sarà infine la verità di Dio in Gesù, la sua vita, la sua morte, la sua Pasqua, il dono sovrabbondante del suo Spirito, perché nella nostra stessa vita si esprima qualcosa, qualche indizio, qualche «segno» della potenza dell’amore fedele del Dio vivo.

Intanto, nella pagina del profeta, il «segno» è quello di un concepimento, di un parto, di una nascita, di un bambino. Un segno, per quel che appare, piccolo, «normale»: il bambino e la madre.

La storia – che si fa storia di salvezza, storia umana di divina presenza – farà scoprire la creatività di quel segno, assunto dall’amore di Dio (come Dio assume l’acqua e ne fa segno del suo Spirito che dà vita, assume il pane e ne fa segno del corpo del suo Figlio e della comunione degli uomini alla sua cena…).

Oggi credo di poter fermarmi un momento su questo segno materno.

Il giorno del funerale della mamma, quando mi pareva di avvertire più direttamente cosa significa «essere orfano» - pur avendo ricevuto e continuando a ricevere attenzione, simpatia, affetto, amore da molte persone – mi tornò in mente (insieme con la «definizione» di Dio come «padre degli orfani» [Sal 68,6]) la parola del libro di Isaia (66,13): «Come un uomo che sua madre consola così io vi consolerò».

Una premura materna che non si cancella più, che vorrei saper vivere ancor oggi – quando non mi è dato oltre il conforto prossimo della voce (ancor «giovane»!) della mamma quando tornavo a casa o quando chiamavo al telefono, o la salutavo il mattino o la sera; il conforto dell’attenzione sempre previdente con qualche rischio di diventare ansiosa, dell’affetto sempre lucido che sapeva ben discernere e conservava schiettezza energica, della tempestività concreta che sapeva predisporre senza fretta e che richiamava insistentemente me (sempre un po’ sovraccarico, disordinato, ritardatario) anche con qualche preoc­cupa­zione… Una premura, dicevo, una presenza materna che ci è promessa per sempre, nel modo proprio della divina consolazione, con la sua parola immensamente capace d’interpretare la nostra vita e di consolare – sobriamente, effettivamente, operosamente.

Forse fu – e spero che sia stato – percependo qualcosa di questo che il 23 novembre nel pomeriggio, quando lessi qualche versetto della Sacra Scrittura alla mamma (e so che era attenta e intenta, e non si stancò, perché quando glielo chiesi mi fece cenno di continuare), mi venne di prendere (tra l’altro) il salmo 131 (130), che dice:

«..tengo serena e tranquilla l’anima mia Come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, Come un bimbo svezzato è l’anima mia».

Piuttosto che di nostalgia d’infanzia (nel senso di una sorta di regressione emotiva), credo e spero si sia trattato di un desiderio confidente e solidale di tenerezza fiduciosa: una parola detta in quel momento a me – a me, certo, che ne avevo gran bisogno – e a lei, che, nell’estrema, debolezza che avanzava, aveva bisogno e attesa del compimento d’una parola che aveva pronunciato molte volte (anche nel corso di quest’ultima malattia), una parola di cui stava per sperimentale il senso pieno :

«Signore, nelle tue mani affido il mio spirito» (cfr, sal.31,6; Luc.23,46;Atti 7, 59; e il responsorio di Compieta…).

L’intenso e quieto e commosso e grato ricordo di mia madre rimane per me un modo fondamentale del divino segno materno, della tenerezza che non abbandona; l’amore che la mamma ha dato e l’amore che ha ricevuto – adesse penso specialmente agli ultimissimi anni e agli ultimi mesi – sono segno buono e prezioso dell’amore creante e liberante del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, del Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, del Dio nostro, del Dio di ciascuno, di Lui al quale siamo affidati e ci affidiamo

giorno per giorno

sera per sera

adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.


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