Mons. Claudio Stagni: Omelia

Omelia di mons. Claudio Stagni

Vescovo ausiliare di Bologna

Messa di trigesimo nella chiesa dei Ss. Giuseppe e Ignazio

17 Aprile 2004

Il Vangelo della liturgia della domenica ottava di Pasqua ci riporta alla sera del giorno della risurrezione. Il Signore incontra gli apostoli, mentre è assente l'Apostolo Tommaso. Quello che avviene la sera di Pasqua è importante, perché il Risorto dona lo Spirito Santo per la remissione dei peccati. È tenendo presente questo fine radicale della redenzione, la liberazione dal peccato, che si vede nella vera luce l'episodio di Tommaso che pretende di incontrare personalmente il Signore Gesù, vederlo e toccarlo, per avere anche lui tutti i doni necessari per il suo ruolo di apostolo, e poter dire con gli altri: «ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunciamo a voi perché crediate, e credendo abbiate la vita nel suo nome». Il desiderio di incontrare Cristo, la ricerca della verità, il non essere mai soddisfatti di quello che siamo per inseguire la perfezione, non è male. A Tommaso Gesù del resto non ha fatto un rimprovero, ma ha detto: «perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno». Come dire: «non tutti potranno avere la grazia che hai avuto tu, di vedere e toccare il Verbo della vita; ma la cosa importante è comunque arrivare a credere in Gesù morto e risorto, perché chi non crederà sarà condannato».

In questo contesto pasquale noi vogliamo questa sera fare memoria di don Paolo ad un mese dalla sua morte, per pregare per la sua pace eterna presso il Signore, e per lasciarci ancora interpellare dalla sua testimonianza di uomo di fede e di carità.

Mai contento di se stesso e di quello che faceva, continuamente alla ricerca della parola più precisa o del pensiero più aderente alla realtà, preoccupato di non lasciare cadere nessuna possibilità di diversa interpretazione o di significati aggiuntivi a quello che aveva trovato, don Paolo nella sua vita ha testimoniato la fatica della ricerca della verità, della verità rivelata, come quella del pensiero di coloro che erano oggetto dei suoi studi; fatica e ricerca della conoscenza del Signore e della sua volontà, per la vita spirituale sua e di coloro che da lui venivano per essere aiutati mediante il suo ministero di sacerdote.

Abbiamo sentito nella lettura dell'Apocalisse il Figlio dell'uomo dire a Giovanni, posando su di lui la destra come gesto di incoraggiamento: «Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi».

«Ora noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia» (I Cor 13,12). Adesso per don Paolo il mistero è già svelato; egli ormai conosce perfettamente il suo Signore; ormai ha soddisfatto il desiderio di arrivare alla conoscenza più perfetta possibile della verità, nella visione beata del suo Dio. Questo noi chiediamo per lui in questa Eucaristia, dal Padre della misericordia.

La ricerca della verità, incontrata in Cristo Gesù, è stata il fondamento della sua libertà. «La verità vi farà liberi» ha detto Gesù; don Paolo, proprio perché cercava la verità che salva, era un uomo libero. Libero di frequentare tutti coloro che avessero una qualche possibilità di arricchire la sua conoscenza (c'è sempre da imparare da tutti), o che potessero condividere l'umile considerazione che aveva di sé stesso, o per esprimere il suo, pensiero per il bene di tutti.

Anche quando aveva da manifestare un punto di vista diverso da quello di chi aveva autorità nella Chiesa, teneva presente quanto il Concilio dice a questo riguardo: «Si faccia questo sempre con verità, fortezza e prudenza, con riverenza e carità verso coloro che, per ragione del loro sacro ufficio, rappresentano Cristo» (LG 37).

Tutti erano suoi amici (come si poteva non voler bene ad una persona così mite, umile, che anche quando esponeva qualche dotta conoscenza, sembrava chiedere scusa per quello che sapeva),  ma non si asserviva a nessuno. Don Paolo disponeva di una non comune forza di volontà, che ha mostrato nella dedizione oltre misura alla sua fede di figlio di Dio, al suo ministero di presbitero nella Chiesa di Bologna, di studioso nella docenza universitaria e nella ricerca meticolosa sulla Parola di Dio e sugli scrittori cristiani antichi; ma non è mai appartenuto a nessuna associazione, movimento o gruppo particolare; e tanto meno nessuno può appropriarsi ora di lui. La sua memoria va rispettata, la sua vita va fatta conoscere, la sua testimonianza di verità e di carità va imitata; ma don Paolo non è di nessuno, perché ha voluto sempre essere di tutti.

I discepoli e gli apostoli del Cristo Risorto, da subito hanno avuto attorno a sé i sofferenti, i malati e le persone tormentate da spiriti immondi: e tutti venivano guariti, come ci ha ricordato la prima lettura. «I poveri li avrete sempre con voi», aveva detto il Maestro.

Quante persone hanno trovato in don Paolo lo strumento dell'amore del Padre; in un modo semplice e normale era attento alle sofferenze di tanti, per dare un conforto, un aiuto, un gesto di bontà. Non ha mai voluto trasformare in una struttura la sua generosa opera di carità, proprio perché non avrebbe più potuto ascoltare e dire una parola a quanti lo andavano a cercare, magari con delle scuse inventate, nei luoghi e nei momenti meno opportuni. E a chi gli faceva notare: attento, che molti di questi ti imbrogliano, lui rispondeva in modo disarmante: lo so, ma lo fanno così bene. E tutti lo sentivano amico; e tanti lo hanno pianto nel momento della sua scomparsa.

La memoria che facciamo di lui, ci spinge a imparare qualcosa di quello che il Signore ha voluto dirci attraverso la vita di questo nostro fratello. Superando la tentazione di cercare chi può essere adesso a portare avanti l'opera di carità di don Paolo, ognuno si chieda che cosa può fare per continuare lui un pezzo di tutto ciò che don Paolo ha fatto; perché se ognuno facesse la propria parte di giustizia e di carità, non ci sarebbe bisogno né di istituzioni, né di testimonianze eccezionali.

Don Paolo è passato in mezzo a noi come un dono e come un segno; questa chiesa dei SS. Giuseppe e Ignazio, dove egli ogni giorno ha celebrato l'Eucaristia e ha servito la Parola di Dio, possa diventare il luogo dove la memoria di lui e il suo esempio rimangono tra noi in dono e in segno.


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