L’amore che libera

Don Paolo Serra Zanetti tra verità e carità [1]

1. Mt 13, 52

Ogni scriba istruito nel regno di Dio è simile a un padrone di casa che trae fuori dal suo tesoro cose antiche e cose nuove”

2. Francesco De Gregori, Il ’56

E tutto mi sembrava andasse bene, tra me, le mie parole e la mia anima.

3. 1Cor 9, 19-23

Libero com’ero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnare il maggior numero: mi sono fatto Giudeo con i Giudei per guadagnare i Giudei; sottomesso alla legge, pur non essendo sotto di essa, con quelli soggetti alla legge, per guadagnare quelli che sono soggetti alla legge; senza legge – pur non essendo senza legge di Dio, ma nella legge di Cristo – con quelli senza legge, per guadagnare coloro che sono senza legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare in ogni modo qualcuno. E tutto faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro.

4. IGC 454

La conversione alla verità dell’annuncio comporta dunque un adeguamento alla sua ‘povertà’.

5. SR 31, 33s

Sere fa ho seguito una trasmissione televisiva dedicata ai nomadi, agli zingari […]. Hanno preso la parola alcuni rom, manifestando volontà e capacità di partecipazione alla vita sociale più vasta, presentando disagi, turbamenti e forse qualche tentennamento, e dichiarando in alcuni casi la necessità di ricorrere all’elemosina: tutti dicevano limòsna. Non so di dove erano, ma non importa tanto, non ho qui un interesse per le variazioni dialettali (anche se mi veniva in mente la stessa parola in bolognese, con la ‘o’ lunga e stretta): avvertivo come il riflesso di abitudini antiche, espresso in una parola umilmente dignitosa, che non aveva nulla di inconfessabile, che era povera e seria. La parola, in italiano, in una qualunque lingua in cui compaia in qualche forma, bisogna pur difenderla dalla mediocre fortuna che una storia complessa, non priva di ambiguità, spesso misera, le ha conferito; è una difesa fin troppo facile, quando si ripensi la sua origine, intimamente connessa con una delle parole-chiave della Bibbia, quella che designa la misericordia di Dio, quella che traspare nel Kyrie eleison, Signore pietà. […]

Quello della povertà è anche, e molto, problema di politica ed economia: è un impegno sociale, di tutti, nel quale la Chiesa è presente ed operante, ed è giusto e desiderabile che lo sia con tutta l’umana diligenza e intelligenza, interpretando i fenomeni, le connessioni, le contraddizioni nella loro complessità, vagliando e verificando i vari contributi, senza farsi illusioni e senza mai desistere dalla ricerca della giustizia, e portando un contributo segnato dalla memoria di fede, speranza e carità. Perché la Chiesa ha specialmente il dono mirabile e il compito smisurato di vivere la concretezza della storia, anche e soprattutto nelle zone più malate e negli spazi più contraddittori, con la memoria vigile, assorta, stupita, umilissima dell’amore di Dio in Cristo, ricevuto e comunicato nella dolcezza dello Spirito: e lì c’è il povero, con una fatica e una pena che vuol diventare grazia, che in Gesù si è già pienamente attuata; e siamo chiamati a vivere in questa solidarietà, compagnia, amicizia: sì, è una via di amicizia, di accoglienza – poiché il Cristo ci ha accolti – che si propone soprattutto verso coloro che spesso sono accolti ben poco in una realtà sociale non di rado segnata da freddezza e durezza, paura e anche violenza. Badiamo bene: il cristiano non è uno che si senta bravo e buono di fronte agli altri, è piuttosto uno che desidera cordialmente di essere amico – e spesso non riesce a essere più che un povero e inadeguato amico – perché ha cominciato a credere e a capire di esser da sempre amato da quell’amore discretissimo e vincente che è il Dio vivo; il cristiano spesso si meraviglia di quel che gli succede, talora non prova un’istintiva simpatia verso certi fratelli che possono anche comportarsi in modo ineducato, invadente, con eccessi di aggressività…; ma il cristiano, ricordando il Cristo, il samaritano, non può fare a meno di fermarsi, anzitutto di desiderare di sapersi fermare, quando incontra un ferito per via. L’elemosina, nel suo intento primo e fondamentale, è un adempimento suscitato dall’incontro con l’indigente, è un gesto marcato, nella sua origine e fondamento, da una volontà di bene attenta, rispettosa, amica: credo che possa, talora debba, avvenire in un rapporto personale, che però altre volte non è possibile in modo non troppo inadeguato, per cui viene riaffermata l’importanza centrale e costitutiva della comunione ecclesiale e della mediazione sociale. Se una Chiesa, nella sua concreta e prolungata esperienza, sostiene l’inopportunità di certi modi di soccorso, non potrà trattarsi di non-sopportazione di fronte a forme di petulanza sospette, ma di un’urgenza di riqualificare con più ordinata volontà d’amore il proprio servizio di fraternità; mentre potrebbero diventare modi di alibi degli atti di elemosina sbrigativamente distratti e inconsapevolmente tesi a rimuovere l’esigenza interminabile di un amore fattivamente attento. Non pretenderemo di avere la formula giusta e compiutamente risolutiva; non presumeremo che le nostre intenzioni e i nostri gesti verso chi è in bisogno siano vera carità: l’apostolo Paolo faceva anche l’ipotesi che qualcuno potesse distribuire tutte le sue sostanze senza essere mosso e guidato dalla carità (1Cor 13,3); ma per questo non vorremmo neppure restare perplessi e sconcertati, perché confidiamo che sapremo chiedere con insistenza risolutiva che, su ogni nostro egocentrismo e insicurezza, prevalga quella carità che è paziente e benigna, non si vanta, non cerca il suo interesse, si compiace della verità (1Cor 13,4-7).

6. IGC 546, 553

E il dono diventa, per l’apostolo e la comunità, capacità urgente di donarsi. «La comunità è apostolica, quando afferma il suo attaccamento al Vangelo (2Cor 9,13) non soltanto a parole, ma con un comportamento che rivela la spontanea generosità che rende autentico l’amore (8,8.24). Il modello di tale generosità è Cristo “che pur essendo ricco diventò povero per voi, cosicché per mezzo della sua povertà poteste divenire ricchi” (8,9)» […]. La sottomissione di convinto consenso al Vangelo del Cristo – Vangelo, qui soprattutto, del povero –, esprimendosi anche e specialmente come generosità di comunione e servizio, fa abbondare le «eucaristie» con cui è glorificato Dio, dal quale viene quel dono che non si è neppure in grado di narrare adeguatamente.

7. IGC 524

Le Lettere ignaziane hanno in sé una sorta di miniera teologica, nella singolarità bruciante del­l’esperienza personale e nella ricerca appassionata della concordia-unità ecclesiale. Ci sono delle «de­fi­ni­zioni» di Dio […] alquanto inedite: Dio è «fe­de e amore», Dio è «unione» […]. E la divina, fondante unità si manifesta singolarmente […] nell’unità di carne e spirito in Cristo, la quale è modello di unità ecclesiale, in cui si diventa coro, in modo sinfoni­co, e in cui si tende verso l’unione prima ed ultima, che consisterà nel «conseguire Dio», che interessa personalmente Ignazio in modo stringente, è la meta per tutta la Chiesa, riguarda tendenzialmen­te tutti gli uomini. Dio, che è il Padre di Gesù Cristo e il Padre degli uomini, è il termine e il fine al quale lo Spirito chiama.

8. Lc 6, 38

Date e vi sarà dato: ne riceverete in misura buona, pigiata, scossa e traboccante, perché con la stessa misura con cui misurate, sarà misurato anche a voi.

9. SR 48

Così molte persone mi hanno voluto bene: anche, è pensabile, come sempre accade, per qualche tratto più personale, forse per qualche stranezza, o per un momento di attenzione, e nonostante certi vuoti e silenzi e soprattutto penosi ritardi; forse, vorrei poter sperare senza presunzione, anche per qualche riflesso e ombra della parola della misericordia, di questa materna viscerale volontà di vita, di salvezza, di accettazione e convivenza amante, di compassio­ne e – diciamolo anche se il termine si sta logorando con l’uso – di tenerezza: una traccia, almeno un’eco di quella “malattia d’amore” che è suprema speranza; forse, qualche volta, qualcosa che ho potuto dire, che ho potuto fare, ha fatto ricordare questa commozione che segna la vita; forse, anche proprio in segno di debolezza, ne ho lasciato intravvedere il bisogno...

10. 2Cor 4, 7-9

Questo tesoro lo abbiamo in vasi di creta, affinché appaia che questa potenza straordinaria proviene da Dio e non da noi. Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; incerti, ma non disperati; cacciati, ma non abbandonati; atter­rati ma non uccisi

11. SR 13s

Una premura, dicevo, una presenza materna che ci è promessa per sempre, nel modo proprio della divina consolazione, con la sua parola immensamente capace di intepretare la nostra vita e di consolare – sobriamente, effettivamente, operosamente […]. L’intenso e quieto e commosso e grato ricordo di mia madre rimane per me un modo fondamentale del divino segno materno, della tenerezza che non abbandona; l’amore che la mamma ha dato e l’amore che ha ricevuto […] sono segno buono e prezioso dell’amore creante e liberante del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, del Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, del Dio nostro, del Dio di ciascuno, di lui al quale siamo affidati e ci affidiamo giorno per giorno, sera per sera, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

12. IGC 589

Un atteggiamento biblico, infine evangelico, verso la Provvidenza è fatto, anche, di attese silenziose; e, anche, di memo­ria custodita di un paradosso creduto e vissuto, che può esprimersi talora nell’antitesi paolina (2Cor 4,8) «siamo sconvolti, ma non disperati», commentata da Teodoreto, con felice brevità e pertinenza: «in situazioni senza via d’uscita, troviamo vie di salvezza».

13. 1Cor. 13,13

Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità.

 

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Sigle:

IGC: Paolo Serra Zanetti, Imitatori di Gesù. «Scritti classici e cristiani», Bologna (EDB) 2005.

SR: Don Paolino. La speranza resistente. «Scritti di don Paolo Serra Zanetti. Con un’appendice di testimonianze» («Quaderni di San Sigismondo», 8), Bologna (Lo Scarabeo) 2005.



[1]

Camillo Neri

Bologna, Chiesa Metodista, 8/4/2008