Per il funerale di Umberto Mattioli

Omelia di Don Paolo Serra Zanetti

22 Luglio 2003

Umberto Mattioli era compagno di studi e poi collega di don Paolo in quanto docente di letteratura cristiana antica all’Università di Bologna.

 

Mi è tornata in memoria in questi giorni un’espressione letta nella premessa di un libro che, da studenti universitari dei primi anni cinquanta, avemmo molto tra le mani: le parole “fraterno amico”; credo di poter dire che Umberto lo è stato per me e, spero, io per lui; un’amicizia avviata quando eravamo studenti, ma sviluppata soprattutto un po’ più tardi, anche per il suggerimento di un terzo amico comune che ci consigliò di lavorare insieme per un progetto di traduzioni patristiche. La prima conoscenza è così divenuta consuetudine d‘in­te­ressi di studio e di insegnamento, crescente comprensione e reciproca intesa, stima ed affetto amico; in qualche raro caso ci siamo anche un poco contrastati, ma si è trattato sempre soltanto di un confronto per qualche mia tendenza fin troppo accomodante e quella sua forte esigenza di una verità che sia veracità rigorosa, ordine giusto e nitido per quanto possibile. Sono convinto che tutti quanti abbiamo conosciuto un po’ da vicino Umberto ne conserviamo un ricordo affettuosamente grato, come di persona che ha sempre cercato di svolgere i suoi compiti con cura seria e appassionata, con modestia affabile, con disponibilità tempestiva e - un po’ mi ripeto - con amore di verità ben deciso, quasi intransigente.

Non posso e non intendo, qui, ora, tracciare un profilo di Umberto nella sua umanità schietta e rispettosa e resistente alla fatica, nella sua ricerca studiosa impegnata abitualmente in temi di molto rilievo etico, nella sua spiritualità fine e umile.

Ma voglio dire che la sua presenza, il suo ricordo è per me prezioso. E questa parola mi è venuta in mente, perché, alla morte di Umberto mi è affiorato il versetto di un Salmo dove si dice “Preziosa agli occhi del Signore È la morte dei suoi fedeli” “preziosa” è un predicato piuttosto paradossale per la “morte”; ma, per la fede comune, che unisce molti di noi, per la fede che Umberto ha custodito e vissuto, per la fede del padre Abramo che pure “sperò contro speranza” – oltre ogni immediata evidenza -, per la fede che la parola dell’annuncio evangelico sa riscaldare e ravvivare e risuscitare, per questa fede che è fiducia e speranza che non delude, ripeto la parola del salmo e vorrei saperla dire senza enfasi ma con umile forza, qui, ora, pensando a Umberto, alla sua stessa faticosa e dolorosa morte; perché mi sento certo che lui ha fatto e fa parte di quei fedeli che hanno cominciato a percepire l’amorosa fedeltà di Dio ponendola al centro della loro vita. E’ in questa luce che ripenso per esempio anche alle recenti ricerche sul tema dell’interiorità che egli stava curando personalmente e proponeva ad altri: e studiava platonismo e neoplatonismo ed esplorava grandi classici della tradizione dell’India - e già molti anni fa aveva sviluppato una ricerca originale sul cristianesimo di Tolstoi; ma la stella polare di questa sua indagine rimaneva l’Agostino che aveva detto in molti modi “in interiore hominem habitat veritas”.

E poi desidero anche ricordare che, dedicando molto tempo allo studio personale e all’organizzazione di studi sulla Senectus, la vecchiaia, Umberto ha continuato ad andare a trovare con regoralità – fino a quando gli è stato possibile – vecchi, divenuti amici, in casa di riposo. Mi sia permesso dire che anche qui c’è qualcosa di prezioso.

Infine: leggendo qualche pagina dei Racconti dei Chassidim di Martin Buber (una raccolta di episodi e detti riguardanti un movimento religioso ebraico) un breve racconto mi ha fatto pensare al 31 ottobre dello scorso anno, quando, concludendo il suo servizio in Università, Umberto ebbe la lieta amabilità di invitarci, in Dipartimento, a mangiare e bere qualcosa di buono.

Ecco il raccontino, appena abbreviato che mi sento di poter dedicare ad Umberto, e si intitola “Dolcezze”(pag.133): La vigilia del Giorno del Perdono, durante il pasto che precede il digiuno, il Rabbi distribuiva dolci ai chassidim che sedevano alla sua tavola. E diceva: “io vi amo molto, e vorrei darvi tutto ciò che conosco di buono al mondo. Tenetevi pure a ciò che dice il salmo ‘Gustate e vedete che il Signore è buono. Gustate bene e vedrete che dove vi è qualcosa di buono, là è il Signore” ….


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Vedi anche: Riflessioni e Omelie