Per il matrimonio di Giovanna e Andrea

Omelia di Don Paolo Serra Zanetti

23 Settembre 2000

Qualche parola, ecco, per cercare di sottolineare il momento; solo qualcuno dei tanti suggerimenti che queste letture ci offrono (1Cor, 12,31-13,8; Ps. 83; Gv 15, 12-16): a tutti noi, e in modo specialissimo agli sposi che le hanno scelte, le hanno pensate, le hanno gustate.

E quindi proprio qualche rapido richiamo a qualcuna delle parole. Intanto al salmo: «Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi! Beato chi trova in te la sua forza: cresce lungo il cammino il suo vigore» (Ps 83). Pensavo alla ‘casa’, preparata per quanto possibile con cura, con gusto, con impegno, con gioia; la casa dove si va ad abitare, proprio. E insieme qui si dice che c’è questa “tua casa”, come c’è la dimora del passero e il nido della rondine, il luogo di un incontro che dischiude orizzonti di pace credibile e amabile, e di fiducia immensa. Poi pensavo ad una lettura che ascolteremo dopo, cioè sarà cantata (Isaia 62). Sono stato molto contento che è stata scelta questa pagina del profeta Isaia, una pagina natalizia (si legge la vigilia di Natale), quando si dice (Dio rivolto al suo popolo, ma è una promessa che si estende, un progetto che si allarga): «Nessuno ti chiamerà più ‘Abbandonata’, né la tua terra sarà più detta ‘Devastata’, ma tu sarai chiamata ‘Mio Compiacimento’, e la tua terra ‘Sposata’, perché di te si compiacerà il Signore, e la tua terra avrà uno sposo» (Is 62,4). Da un lato quelle che possono essere nella storia umana tante volte le angosce delle devastazioni, i dolori degli abbandoni e i silenzi di lontananze incolmabili: e d’altra parte invece una parola d’amore, una vera e propria dichiarazione. «Mio Compiacimento» credo che sia la traduzione esatta, che forse però non dice abbastanza, perché è un po’ letteraria: dovrebbe essere una parola amorosamente segnata. Ho visto una traduzione ebraica dove dice «Tu ti chiamerai ‘Quella che io amo’», una parola d’amore, una vera dichiarazione, una parola di vicinanza affettuosa, una volontà di bene incancellabile.

Poi pensavo un momento alle letture che abbiamo ascoltato poco fa: e tra le tante indicazioni, aperture, che ha la pagina dell’apostolo Paolo, ne sottolineo una sola, quando dice che l’amore, la carità, si compiace della verità, si rallegra insieme (1 Cor. 13,6): cioè trovare gioia insieme nella verità che è poi veracità, che è poi fedeltà, che fa pensare al motivo dell’Alleanza, che percorre la Bibbia, e che si connette bene alla decisione di sposarsi, all’interno di un progetto che comincia prima, ma che diventa personale per quei due, per voi due. Allora qui ci viene detto (direi), si può sottolineare questo: qui ci viene detto che “parlare di verità” non si tratta di proiezioni di desiderio irrealizzabili, perché ci sono spazi importanti e preziosi di verità accessibile, riconoscibile e vivibile; ed è un cammino non privo di salite, ma tenuto insieme dal filo resistente di quella gioia del Signore che è la nostra forza. [E poi nel Vangelo si dice “come io vi ho amati” (Gv 15,12). Allora è sempre un risalire alla fonte.

L’annuncio evangelico è l’invito caldamente, amichevolmente, pressante a fidarsi di questa amorosa verità che l’evangelista Giovanni a breve distanza definisce, descrive, esprime dicendo «li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Non solo alla fine in senso cronologico, ma fino al ‘termine ultimo’, fino all’ultimo senso delle cose, potremmo dire. È un percorso che continua, appunto fino al ‘télos’, per usare una parola greca (ma senza voler fare dell’erudizione), perché indica talmente tanto questo compimento il cui autore ultimo certamente è l’amore di Dio.

Noi però ne siamo in qualche modo partecipi in quanto ne siamo coinvolti e indirizzati e orientati e attivati. «Io vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15) e questo nel Vangelo. Allora: l’amicizia, la confidenza, è il tessuto dell’esistenza proprio così, in modo personale per lo sposo e la sposa. E allora però mi viene insieme da dire: «tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi». Quando si ha confidenza, umanamente anche proprio, ci si scambia parole vere, amiche, parole di verità e di pace, che si è cominciato a intendere. Ecco io credo che ci sia un nesso non superficiale tra questo scambio di verità affettuosa e quel punto di partenza che il vangelo qui indica: ‘Tutto ciò che ho udito …” Gesù ha udito tutto dal Padre, noi … un pochino, qualche cosa, da questa fonte di verità misericordiosa: e quando due si amano, poi in modo così personale, cosi singolare, cosi mirabile, sbocciano delle confidenze che hanno a che fare con l’amore di Dio, anche se il nome non è espresso. E sono parole di verità e di pace (dico, e lo ripeto, e lo sottolineo) e per questa via, ecco - mi permetto ancora di dire - avviene una certa rivelazione di ciò che la lettera di Paolo agli Efesini chiama «mistero». Ma non per dire una cosa messa sotto sigillo, per dire una realtà che viene dall’alto, che però si va spiegando.

«Questo mistero è grande» (Ef 5,32), e sta parlando proprio del marito e della moglie.

È una storia che comincia presto, da quando Adamo aprì gli occhi al mondo nel giardino di Eden, che doveva coltivare e custodire, e cominciò a interpretare la realtà dando i nomi agli animali che il Signore gli condusse davanti (Gn 2,19-20). Ma la parola gioiosa dell’uomo risuonò per la prima volta quando il Signore Dio gli presentò l’aiuto veramente appropriato, meravigliosamente personale “Ah questa è veramente …” (cfr. Gn 2,23) dice. Ed è un progetto che viene descritto in una pagina della Genesi, in quelle parole che Dio dice fra sé e sé (diciamo …) «Facciamogli un aiuto che gli sia adatto» (Gn 2,18). Tra l’altro poi le parole che sono adoperate stanno tutte a indicare - noi non abbiamo un termine proprio equivalente - «via à vis» «di fronte all’altro», questo vedersi, guardarsi, capirsi, accettarsi, ascoltarsi. Questo rapporto così personale e prezioso che ha il suo fondamento in un’antica originaria volontà del Creatore, di Dio, dell’Amore misericordioso, del Fedele.

Vorrei terminare con una parola che non è stata letta, ma che conosciamo tutti, che si trova nella lettera ai Romani dell’apostolo Paolo, quando in una prospettiva più larga (non parla a due sposi, parla genericamente ai cristiani, ai credenti) dice: «Accoglietevi gli uni gli altri (l’uno l’altra, l’una l’altro) come anche Cristo ha accolto voi per la gloria di Dio» (Rm 15,7). Essere in chiesa e celebrare il matrimonio qui è in qualche modo essere accolti dall’amore di Cristo. E ascoltare, tentare di capire, gustare queste cose, partecipare questi segni, non è tanto una ritualità, ma è una volontà, un desiderio di partecipazione al senso più vero della vita. «Accoglietevi l’un l’altro» diventa un po’ come il manifestarsi di quella che è divina presenza di amore fedele, la Gloria che si comunica e si dilata, la Gloria di Dio, cioè in qualche modo Dio che si fa conoscere, che si fa sentire, che dà segni di attrattiva percepibile.

Bene: questo invito è da vivere, per quanto è dato a ciascuno, ma con originale intensità da due sposi che ascoltano questa parola, desiderano intenderla e amarla perché desiderano intendersi e amarsi.

E così sia.


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